Emicrania e cefalee croniche: quando il mal di testa diventa invalidante

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di Stefano Menna


Fare il punto sulle novità in ambito diagnostico e terapeutico, oltre che sui primi risultati della legge 81/2020 che ha riconosciuto l’emicrania cronica come “malattia sociale”. L’obiettivo della settimana nazionale del mal di testa, promossa da Società italiana di neurologia (Sin) e Società italiana per lo studio delle cefalee (Sisc), è sensibilizzare sull’importanza di un riconoscimento precoce dei sintomi e un accesso tempestivo ai percorsi di diagnosi e cura, per migliorare la qualità della vita dei pazienti. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il mal di testa colpisce almeno una volta all’anno la metà della popolazione. È quindi un disturbo che non risparmia praticamente nessuno, nemmeno i più giovani: oltre il 40% dei ragazzi è colpito da cefalea.

Tra i vari tipi di mal di testa, il gruppo più significativo è costituito dalle cefalee primarie: ossia quelle che non sono causate da altre malattie o condizioni (come traumi, ipertensione, problemi vascolari, infezioni o tumori) e nelle quali il sintomo doloroso costituisce la malattia stessa. Le cefalee primarie comprendono la cefalea di tipo tensivo, la cefalea a grappolo e l’emicrania: mal di testa molto diversi l’uno dall’altro per tipologia di dolore, intensità, localizzazione, durata, frequenza e sintomi associati.

La forma più frequente, circa l’80% dei casi, è la cefalea di tipo tensivo: ha una intensità lieve-moderata, di tipo gravativo o costrittivo (il cosiddetto “cerchio alla testa”), dura da qualche ora ad alcuni giorni, in genere non è associata a nausea o vomito. Familiarità, stress, stanchezza, alcuni cibi, alcol, errate posture o riduzione delle ore di sonno sono tutti fattori che possono favorirne l’insorgenza. La cefalea a grappolo provoca invece attacchi dolorosi più brevi (1-3 ore), ma molto intensi e lancinanti, che si susseguono una o più volte al giorno per un periodo di tempo in media di 2 settimane (il grappolo, appunto), alternati a periodi senza dolore. L’area interessata è quella perioculare e colpisce soprattutto gli uomini.

Tra le cefalee primarie la principale è senz’altro l’emicrania, sia per diffusione che per le conseguenze invalidanti. Riguarda il 12-15% della popolazione, solo in Italia ne soffrono 6 milioni di persone. L’emicrania si caratterizza per un dolore pulsante di intensità moderata-severa, spesso localizzato nella metà della testa e del viso. Il paziente non riesce a svolgere le consuete attività quotidiane perché ogni azione aggrava il dolore. A volte, gli attacchi possono essere associati a disturbi neurologici visivi (aura). La crisi può manifestarsi insieme a nausea, vomito, intolleranza a luce, rumori e odori, e può durare da 4 a 72 ore. 

Secondo il Global Burden of Disease Study, indagine che misura il peso e l’impatto globale delle malattie, l’emicrania è la terza patologia più frequente in assoluto. Si piazza al secondo posto per gli anni vissuti con disabilità, addirittura al primo nelle donne tra i 15 e i 49 anni, condizionando così in modo pesante la vita personale e sociale. I costi diretti e indiretti in Italia ammontano a 20 miliardi di euro all’anno, il 93% dei quali per la riduzione di produttività. Eppure l’emicrania è percepita come “malattia invisibile”, spesso non viene riconosciuta ed è accompagnata da stigma o pregiudizio di genere: situazioni che in molti casi inducono a occultare la propria condizione e ritardare l’accesso a cure tempestive ed efficaci.

Se il primo ostacolo a un’adeguata gestione dell’emicrania è la conoscenza e la consapevolezza, il secondo – non meno importante – è la presa in carico del paziente, che prevede una collaborazione sinergica tra medico di medicina generale, i Centri Cefalee sul territorio e gli specialisti coinvolti nel percorso di cura. Soprattutto quando il paziente è donna, tre volte più colpita rispetto all’uomo. L’emicrania infatti non è solo più comune, ma anche più grave nel genere femminile: le donne sperimentano episodi più frequenti, di maggior intensità e durata, con un numero più elevato di comorbilità e ripercussioni negative sulla qualità della vita in ambito familiare, lavorativo e relazionale. Come sottolineato da un gruppo di lavoro composto da Fondazione Onda e Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee – finalizzato a sviluppare un nuovo modello di gestione delle pazienti con emicrania, che tenga conto delle peculiarità di genere – sono ancora tante le criticità. In particolare la mancanza di un approccio multi e interdisciplinare, di riferimenti medici a livello territoriale, nonché di percorsi omogenei per la diagnosi, la cura e l’assistenza.

Sul fronte dei trattamenti, grazie alle recenti scoperte sul meccanismo che genera il dolore, sono entrate nella pratica clinica nuove terapie a base di anticorpi monoclonali che stanno facendo registrare un importante cambio di passo nella gestione dell’emicrania. Sebbene non “guariscano” la malattia, si tratta di terapie capaci di ridurre il numero degli attacchi e degli episodi. E di essere efficaci anche contro la forma cronica e quella farmacoresistente. Oltre a migliorare la qualità della vita dei pazienti, questi presidi innovativi evitano che la malattia peggiori e riducono il rischio di abuso di farmaci. 

L’impatto delle patologie cefaliche è stato riconosciuto nel nostro Paese anche a livello istituzionale. Nel luglio 2020, è stata approvata la legge 81 con la quale la cefalea primaria cronica (emicrania compresa, quindi) è stata riconosciuta come “malattia sociale”: si tratta di casi accertati da almeno un anno, il cui effetto invalidante sia stato diagnosticato da uno specialista in un centro accreditato. I decreti attuativi della legge prevedono finanziamenti di 10 milioni di euro, per il 2023 e il 2024. Sulla scorta delle linee di indirizzo per la pianificazione regionale emanate nel 2023, le Regioni – con il supporto delle società scientifiche – stanno ora lavorando all’implementazione di progetti finalizzati a sperimentare metodi innovativi di presa in carico. Al termine di questa fase di sperimentazione, entro il prossimo 31 gennaio, le Regioni dovranno fare un bilancio e presentare al Ministero della salute i risultati raggiunti e le migliori pratiche realizzate sul territorio.